IL PROFITTO, E NON LA SALUTE, AL CENTRO DELLE SCELTE
L’Emergenza legata alla pandemia da COVID-19 ha portato alla luce, tra le altre cose, la fragilità e l’inadeguatezza del sistema socio-sanitario-assistenziale rivolto ad anziani, disabili e soggetti con necessità di riabilitazione. Oggi, si stima che in queste strutture siano accolte circa 300.000 persone, distribuite su circa 7000 strutture.Le RSA (Residenze Sanitarie Assistenziali) sono strutture prevalentemente a regime misto e cioè il costo, per chi ne ha diritto, può essere sostenuto, congiuntamente o meno, dall’utente, dal Comune e dal Servizio Sanitario Regionale. In passato, si trattava soprattutto di strutture pubbliche che fin dalla loro istituzione hanno fatto parte del Welfare del nostro paese e che, come tutto il resto dei servizi pubblici al cittadino, negli anni sono state svendute ai privati. La strada è stata sempre la medesima fatta di: privatizzazioni, esternalizzazioni, dismissioni, affidamento della gestione a terzi. Tutte le riforme, a partire da quella che ha smantellato il sistema delle II.PP.A.B., sono andate in questa direzione. Il risultato è che oggi, questo ambito è stato quasi del tutto abbandonato dalle istituzioni pubbliche che, solo in qualche caso, né mantengono il controllo. Oggi è evidente la polverizzazione del settore che è totalmente affidato alla gestione del privato, con alcune rarissime eccezioni, soprattutto in Lombardia, Veneto ed Emilia Romagna, dove permangono in vita residui del precedente sistema di assistenza (soprattutto geriatrica), attraverso alcune grandi e storiche strutture che sono appartenute al sistema degli E.C.A. (Enti Comunali di Assistenza) e successivamente a quello delle II.PP.A.B. (Istituzioni Pubbliche di Assistenza e Beneficenza, subentrati agli ECA nel 1978). Oggi, in piena fase di emergenza sanitaria, sta emergendo agli occhi di tutti, creando finalmente un minimo di dibattito, una verità che sosteniamo da anni: il privato è un problema e non la soluzione. I numeri di contagi e decessi in queste strutture sono allarmanti e le cause molteplici. La gestione privatistica di queste strutture, volta più al profitto che al fine sociale, non garantisce sicurezza sanitaria per nessuno. Si sono trasformate da luoghi di precariato e sfruttamento a fabbriche di morte per gli operatori sociali e sanitari e, grazie alla negligenza del gestore privato e all’assenza di un vero sistema di controllo da parte di Regioni e Comuni, l’ultima tappa della vita di migliaia di anziani.
Come si può facilmente notare dalla mappa, la distribuzione è abbastanza sovrapponibile a quella dell’incidenza delle morti per covid-19, con un dato anomalo per la Lombardia che merita di essere approfondito.
RSA ED EMERGENZA COVID-19
Che cosa è successo in queste regioni e in particolare in Lombardia? Sicuramente, di fondo c’è la mancanza di adeguati piani di emergenza regionale per far fronte all’epidemia. Questo ha generato il problema che maggiormente ha influito sulla diffusione del virus dentro le RSA che è la mancanza di dispositivi di protezione individuale. Di fondamentale importanza anche la politica dei tamponi adottata dalle regioni. Tutti i dati noti su questo virus raccontavano chiaramente di una maggiore fragilità della popolazione anziana, tant’è vero che l’età media dei decessi con COVID-19 è di circa 78 anni (dati ISS v. tab).
LA CARENZA DI D.P.I. E LA POLITICA DEI TAMPONI
Sulla scorta di questo dato, sarebbe stato opportuno che tutti i soggetti preposti si fossero dedicati a mettere in atto misure preventive per scongiurare l’insinuarsi dell’epidemia dentro queste strutture, ben sapendo che avrebbe probabilmente assunto la dimensione della carneficina. Invece cosa è avvenuto davvero? E’ avvenuto che le regioni (soprattutto la Lombardia,) in difficoltà oggettiva per la mancanza di DPI e di posti letto in Terapia Intensiva, hanno deciso di dirottare le prime risorse disponibili sugli ospedali trascurando/tralasciando il sistema delle RSA che hanno ricevuto, ad esempio, i DPI in ritardo e che discorso vale per i Tamponi che oggi ancora faticano a reperirne in quantità sufficiente. Stesso oggi per le RSA sono di difficile reperimento e che vengono somministrati, in alcune regioni, come la Lombardia, solo a chi ha manifestato i sintomi: una follia! Questo ha comportato indubbiamente un proliferare di contagi. Pochissimi tamponi effettuati agli ospiti ricoverati e ancora meno agli operatori che in breve sono diventati il vero vettore del virus. Come mettere un fiammifero in una polveriera.
IL PROFITTO, E NON LA SALUTE, AL CENTRO DELLE SCELTE
Se la situazione è drammatica nelle strutture comunque in relazione con il pubblico, possiamo ben pensare, e temere, che nelle strutture più piccole e completamente affidate alla gestione dei privati sia ben peggiore. Privati che hanno intrapreso questo percorso solo per una scelta imprenditoriale, avendo intuito l’enorme business che le scelte politiche rispetto al settore avevano aperto. Su queste strutture è impossibile esercitare un pieno controllo rispetto all’uso di protocolli di sicurezza adeguati per ospiti e lavoratori così come sulla reale natura dei decessi. Riteniamo che anche in questi casi – e a maggior ragione – l’uso di DPI adeguati sia stato difficilmente attuato. Un dato certo è che anche all’interno delle grandi case di riposo pubbliche (ad esempio le ASP Lombarde) se per i servizi gestiti con personale interno sono state riscontrate grandi difficoltà nel rispetto dei protocolli di sicurezza, per quelli gestiti attraverso appalto la situazione è totalmente sfuggita al controllo delle stesse aziende appaltanti. Siamo a conoscenza di casi nei quali operatori sanitari hanno operato a lungo nei reparti , e con epidemia in corso, senza alcuna protezione individuale e che, ad esempio, le ditte adibite alla pulizia e sanificazione degli ambienti (anche di degenza) non hanno provveduto a fornire ai propri operatori adeguate indicazioni né adeguati DPI. Molti di loro hanno lavorato anche per tre settimane con la medesima mascherine che veniva regolarmente “lavata”!
La questione profitto non è ovviamente da sottovalutare. Infatti gli enti gestori, come abbiamo detto quasi totalmente privati, delle RSA alle prime avvisaglie di propagazione del virus avrebbero dovuto e potuto dimettere i soggetti a ricovero temporaneo. Cosa che non è stata fatta o è stata fatta troppo tardi, tutto in funzione del profitto del privato che dimettendo i pazienti avrebbe perso l’ingresso delle quote dovute per la degenza. Il profitto anteposto alla sicurezza e alla vita. E’ chiaro che in questa situazione, è come se si fosse operata una scelta a priori: le RSA SONO LUOGHI DI MORTE. E, in effetti, tali si stanno rivelando.
LA PROPOSTA
L’idea forte per il futuro, alla luce di quanto si è verificato, è quella di ricostruire un sistema socio- sanitario , capace di organizzarsi attorno all’idea di Salute, non più parcellizzato in termini territoriali, anagrafici, o per patologia (paradossale e folle, in tal senso l’idea Lombarda dell’Ente Gestore per la presa in carico delle patologie croniche), abbandonando la prevalenza della logica aziendale del profitto e delle compatibilità economiche con e quali si è gestita la sanità nel paese. E’ in quest’ottica che va collocato anche il sistema socio assistenziale che deve trovare la possibilità di rientrare sotto stretto controllo pubblico, affidato a Comuni e Regioni, che dovranno utilizzarlo per consentire ai cittadini di esercitare pienamente il diritto alla salute, soprattutto perché esso si rivolge a fasce di popolazione che, a causa di evidenti fragilità, ne hanno necessità. Sarebbe il giusto passo da fare, se si vuol mettere a frutto la lezione che ci arriva da questa epidemia e che dovrà necessariamente portarci verso un Sistema della Salute, e più generalmente un Welfare, che sia davvero equo ed universale.