L’Opera Omnia (Levante ed.) di un uomo di lettere dauno ingiustamente dimenticato

Si deve ad un ricercatore tenace come il prof. Francesco De Martino, dell’Università di Foggia, e ad una casa editrice che non lascia inesplorato il patrimonio culturale diffuso pugliese, come la barese Levante, la riscoperta di un drammaturgo lucerino: Umberto Bozzini. Nel 2009 hanno dedicato un lavoro inedito e puntuale all’avvocato lucerino, autore di opere teatrali molto apprezzate nei primi anni Venti e poi purtroppo dimenticate. Nel centenario della prima rappresentazione che ne rivelò il talento, la tragedia “Fedra”, allestita nel 1909 nel teatro Valle di Roma, uscì per i migliori tipi Levante, l’opera omnia di Bozzini, “Opere”, un grande  volume di 574 pagine (60 euro), arricchito in appendice da un ricco repertorio fotografico, anche a colori. Colpisce il lascito morale affidato in punto di morte dall’avv. Umberto al figlio Franco: la cura delle sue opere, compiute e incom­piute. “Abbi cura di quei lavori (Fedra, Manfredi, Il Cuore di Rosaura), come fossero tuoi fratelli. Ma più cura devi avere di quei lavori cominciati che saranno orfani e derelitti come te”. Del resto la metafora dei libri-figli gli era congeniale, avendola già adottata in una lettera a Luigi Gamberale nel 1909.

Oggi sono Levante e il prof. De Martino ad assumere la responsabilità di questo compito di memoria e di custodia, nei confronti di un insigne esponente della letteratura dauna dei primi del 900. La collana “Diomede”, nella quale il volume appare, è la più adatta, ricorda lo stesso curatore nella premessa, perchè omaggia un eroe di questa terra mitica ed ha come obiettivo proprio quello di dar voce ai territori e alle loro culture, che perdono ascolto, tanto più in era di globalizzazione. È peraltro di una foggiana, Silvana Capuano, nativa di Ischitella, la monografia di riferimento negli studi su Bozzini, apparsa alla vigilia del cinquantenario della morte.

Avvocato, poeta e drammaturgo, si legge nella enciclopedia on line Wikipedia, è con la rappresentazione di Fedra che negli ambienti letterari e teatrali si comincia a parlare di Umberto Bozzini, la cui fama doveva spegnersi nel giro di pochi anni e il cui nome dimenticarsi troppo presto, nonostante il valore dei suoi scritti teatrali e poetici. Nato nel 1876 a Lucera da Generoso, insigne chirurgo e naturalista, e laureato in legge dopo gli studi al Liceo Bonghi, coltivò con passione gli studi letterari, storici e mitologici, scrivendo liriche per alcuni giornali di provincia in cui riversa le sue innate qualità letterarie. Di carattere schivo, amante della solitudine, preferisce immergersi nella vita contemplativa, affinando una poesia malinconica, ma ricca di spiritualità e vicina ai temi eterni della vita: amore innanzitutto. “ Fedra”, che riscuote subito grandissimo successo, è definita perfetta dal maestro Ferdinando Martini: i segni della sua arte si evidenziano meglio che nel componimento omonimo del D’Annunzio. Tra le altre opere: Manfredi, Il Cuore di Rosaura, Ritmo Antico, Georgica, tutte rappresentate dalle più celebri compagnie di teatro del tempo. Nel 1921 muore nella sua città tanto prematuramente da non ottenere fama pari ai meriti artistici.

Bozzini si rifaceva ai classici, alla tragediografia greca – da qui l’interesse di de Martino, che dirige il Dipartimento dell’Antico nell’Ateneo foggiano – rileggendoli alla luce del suo gusto moderno, in qualche misura romanzesco, appassionato, da post Romanticismo. Oggi, il gusto di immergersi nel passato come se fosse tuttora attuale e di riviverlo in chiave moderna assume a volte il significato di un gioco, di un nobile gioco, come il “pastiche letterario”. Stephanie Barron ne offre un esempio, in un volume TEA libri, “Virginia Woolf e il giardino bianco”,  288 pp. 12 euro. Torna, nei salotti, nel mondo e al tempo di un’altra grande scrittrice inglese, dopo il successo dei titoli dedicati a Jane Austen e a Charlotte Bronte. La storia nasce dal suicidio della grande Virginia Stephen Woolf, attivista e intellettuale inglese suicida nel 1941, nel fiume Ouse. Il ritrovamento di un misterioso diario, la cui pagina iniziale, firmata da Virginia, reca la data del giorno successivo alla scomparsa, avvia la trama. Qualcuno ruba il manoscritto, che cela chissà quale segreto. Infatti, vicenda, libro e diario tratteggiano una storia mystery e non lo fanno a caso. Per Stephanie Barron, la letteratura di fa giallo e il giallo si fa letteratura. È così nella fortunata saga barroniana che vede in azione un’altra nota firma della narrativa rosa di tutti i tempi. Le indagini di Jane Austen proseguono nel romanzo “Jane e il prigioniero di Wool House”, sempre TEA, 312 pp. 12 euro. La Austen, come si sa, è una scrittrice dell’epoca Reagency inglese che nei titoli della Barron si muove come un’insolita detective. A Southampton, nel 1807, la curiosità di Jane è risvegliata da Frank che ha bisogno del fiuto della sorella in aiuto dell’amico Tom Seagrave, collega in Marina, condannato a morte per omicidio. I due entrano nei segreti della famiglia del capitano, un percorso che li porta fino alle celle di Wool House, dove un detenuto potrebbe sapere tutto. Ma più Jane si avvicina alla verità, più si stringe la rete che il vero assassino sta tessendo intorno. Presto  sarà troppo tardi per tornare indietro e fare luce sarà il solo modo per venirne fuori, sana e salva, pronta a mettere le proprie doti al servizio di un nuovo caso.

Fonte:Agenzia di Stampa 2008

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