L’Air Force USA ha messo le ali a Foggia nel 1917, un primato storico per la Capitanata

Foggia pioniera del volo militare. Nei primi anni della storia dell’aviazione, nella piana foggiana vennero allestiti tra il 1914 e il 1916 due aero­porti militari, a Sud e a Nord del cen­tro abitato. Dopo l’entrata nel conflitto a fianco degli anglofrancesi, dal maggio 1915, per le esigenze della Grande Guerra i campi di volo e le installazioni furono interessati da continui miglioramenti. La stagione aviatoria foggiana rappresenta un momento importante nelle vicende dell’aeronautica italiana e al tempo stesso segna un primato storico per Foggia: su quelle spianate nel Tavoliere è nata la più potente arma aerea di tutti i tempi. I piloti della Usaf (Usa Air Force), la mitica aviazione americana, sono saliti sui primi aerei da addestramento e poi da guerra nel campo di aviazione di Amendola.

Quello che verrà poi dedicato a Gino Lisa, pilota militare caduto nel 1917, era operativo nel novembre 1915, a mezzogiorno del capoluogo, in contrada Posta Palazzo, tra la città e Borgo Segezia. Il 10 luglio 1916 venne inaugurato il campo volo Aeritalia della società aeronautica Pomilio. Un ettaro e mezzo la superficie complessiva, con capannoni di metallo per i ser­vizi tecnici e strutture in legno per alloggi e caserme. Nel gennaio 1917, a nord della periferia, sorse un campo gemello in agro San Nicola. Ad ovest veniva usata in appoggio una terza spianata. Il complesso era considerato uno dei migliori aeroporti militari e fu questo, insieme alla distanza di sicurezza alla zona di guerra, a far scegliere le basi foggiane per addestrare gli equipaggi americani.

Dal 1917, con la discesa in campo degli Stati Uniti, circa 500 scanzonati giovanotti USA vennero ad imparare i rudimenti di volo, duello aereo e bombardamento su velivoli con la coccarda tricolore e sulla verticale dei capannoni e prati del campo di volo di Foggia Sud. Dopo i primi 200 allievi, un secondo gruppo avviò le attività ad ottobre del 1917, al comando del capitano Fiorello La Guardia, figlio di immigrati da Cerignola e futuro sindaco di New York. Gli aviatori statunitensi erano ad­destrati sui biplani Farman, capaci di prestazioni medio alte: la velocità sfiorava i 200 km orari e la quota massima superava i 4mila metri. Vennero destinati per lo più al fronte francese, deve operavano le loro truppe di terra. In Italia, infatti, agiva un solo reggimento dell’esercito americano, come contributo simbolico al nostro conflitto. La destinazione estranea al teatro di guerra italiano conferma però la grande importanza della scuola di volo fog­giana, patrimonio di un’Arma nata in Italia pioneristicamente nel 1911 e collocata tra le prime cinque aviazioni del mondo.

Nella specialità del bombardamento pesante, in particolare, non temeva rivali, grazie al genio del costrutto­re Caproni ed ai suoi grandi trimotori. Anche questa superiorità italiana aveva suggerito agli americani di acquisire la tecnica italiana a Foggia, che da lì in avanti svilupperanno in maniera esponenziale, affinando il concetto del bombardamento strategico. “È nei cieli della Grande Guerra che vengono concepite le teorie che hanno guidato lo sviluppo dell’aviazione, mantenendo intatta la loro validità attraverso i tempi”. È quanto si sostiene in un volume che dà conto, tra gli altri importanti argomenti, dell’epica aviatoria dauna. Si tratta di un ampio saggio di un tecnico dell’Arma Azzurra, il colonnello del Genio aeronautico Basilio Di Martino, “L’aviazione italiana nella Grande Guerra”, ristampato da Mursia, nella collana Testimonianze fra cronaca e storia, 660 pag. 26 euro. “La vicenda va ben oltre la pur affascinante saga degli assi della caccia o il racconto di imprese diventate leggendarie che caratterizzarono gli anni del primo conflitto mondiale, come il raid di Gabriele D’Annunzio ed altri coraggiosi su Vienna. È una storia di uomini e di macchine in cui tecnologia e dottrina si rincorrono per creare una forza aerea bilanciata in tutte le componenti, in grado di svolgere al meglio i compiti nello scenario bellico, mentre si delineavano le teorie sul bombardamento nell’ambito di un dibattito dottrinale che ebbe protagonisti di eccezione come Douhet e Caproni. L’azione dei bombardieri fu finalizzata a contrastare le capacità operative delle forze contrapposte, mentre la maggior parte delle squadriglie operava a diretto supporto delle forze di terra con compiti di ricognizione, osservazione, collegamento e attacco al suolo, sotto la protezione di una caccia le cui tattiche cominciavano a superare l’individualismo del cavaliere alato”. A terra, intanto, i fanti vivevano l’inferno delle trincee. “Il sibilo delle granate fa pensare a tante cose e, quando l’obice è scoppiato e ci ha lasciati interi, si sorride in un modo che adesso non so nemmeno ricordare”, nel giugno 1915, il giovane pittore romano Walter Giorelli si ritrova nell’immane carnaio. All’esperienza di più di una generazione nel delirio di ferro di fuoco e di sangue che fu la Grande Guerra 1915-18, Mursia offre un nuovo spazio attraverso le sue lettere alla famiglia, ritrovate per caso a quasi un secolo di distanza. Dario Malini ha firmato “Il sorriso dell’obice”, 136 pag. 12 euro. Dall’entusiasmo dell’Intervento, all’addestramento a Bologna e Cividale e alla vita al fronte, prima in un reparto che provvede ai rifornimenti sotto il Sabotino, poi a Plava, nella 169a Compagnia Zappatori, per quattro mesi in trincee avanzatissime. Giorno dopo giorno cresce il disincanto: gli orrori della guerra di trincea sotto il martellare delle artiglierie nemiche invadono le sue testimonianze, sebbene riferiti con ironia. Npn soccorre nemmeno l’arte, cui si applica disegnando i volti dei compagni, i terreni devastati di Oslavia, Gorizia, le vette e i campi di battaglia attorno all’Isonzo. “Le lettere del soldato Giorelli, sono riproposte in questo volume nella forma di un diario che apre uno squarcio illuminante e privo di retorica su ciò che rappresentò la prima guerra di massa nella coscienza di coloro che vi dovettero prendere parte”. Sorprende “l’ampiezza della riflessione”, prende campo la sua “vibrante carica antimilitaristica, il cui valore e il cui significato sono quanto mai attuali”.

Agenzia di Stampa 2008

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