Italia Futura:l’esempio di Mirafiori e la latitanza politica

Segue un articolo dell’Associazione ITALIA FUTURA relativo all’azione decisionista che sta attuando l’Ad Fiat Chrysler Sergio Marchionne.

L’azione di Sergio Marchionne ha suscitato entusiasmi e riacceso la speranza perché ha dimostrato che anche in Italia cambiare è possibile, nonostante tutto. E l’accordo di Mirafiori, se ratificato dal referendum, sarà un grande successo per la Fiat e per i lavoratori torinesi. Il punto fondamentale, tuttavia, riguarda la qualità del cambiamento. C’è il rischio che l’Italia diventi un “paese fai da te”, dove la politica è sempre meno capace di guidare processi di trasformazione profondi e condivisi.
Perché se da una parte la Fiat è riuscita a cambiare positivamente la realtà in cui opera grazie al coraggio dell’iniziativa del suo Amministratore Delegato, alle sue dimensioni, al rapporto sempre più stretto con il mondo del lavoro americano, dall’altra la maggior parte delle aziende italiane rischia di rimanere indietro. Ovunque in Italia operano migliaia di Marchionne invisibili, alle prese con un contesto sempre meno competitivo. Questi imprenditori non hanno la forza di porre rimedio da soli alle anomalie del sistema Italia. L’unica soluzione è spesso quella di andare via, se si vuole sopravvivere.

L’Italia rischia di non essere più un paese per l’industria e a testimoniarlo c’è il fatto che nessuno viene più a investire in questo settore. La domanda che dovremmo farci, anche al di fuori del campo imprenditoriale, è come trasformare l’esempio Mirafiori in una leva di cambiamento per tutto il paese. Invece il dibattito sembra essere schiacciato sul presente o peggio orientato al passato. Protagonisti di stagioni fallimentari per le relazioni industriali, come D’Amato e Cofferati, che sono responsabili di aver dato il via al processo di politicizzazione delle rispettive associazioni, tornano ad affilare armi retoriche vecchie e spuntate. Il Ministro Sacconi, non realizzando che il successo di Marchionne rende più evidenti le lacune dell’azione del Governo, si accontenta di gioire per l’ennesimo schiaffo ricevuto dalla CGIL.

Esiste il rischio concreto che il cambiamento si arresti sulla soglia di Mirafiori. Perché a parte gli elogi di prammatica a Marchionne il Governo non è riuscito sino ad ora a svolgere un ruolo significativo nel coinvolgere tutte le forze sociali in un processo di riforma complessivo delle relazioni industriali e della rappresentanza. Eppure nessuna modernizzazione potrà avvenire in Italia se non si riuscirà a costruire un percorso condiviso che deve partire da una spietata “operazione verità” sullo stato in cui versa la nazione. In questa operazione sarà fondamentale il ruolo di Governo e corpi intermedi (Confindustria, sindacati, associazioni di categoria) che dovranno avere il coraggio di affrontare le riforme del mercato del lavoro, del fisco e del welfare guardando a quanto avviene nel mondo e mettendo al centro il mercato. Così come dovrà necessariamente essere accolto l’invito che anche oggi ha ripetuto il Presidente Napolitano a ricercare forme di dialogo il più ampiamente condivise.

L’equilibrio malato che blocca l’Italia non potrà essere sconfitto se non si costruiranno condizioni di fiducia e partecipazione e se non verrà identificato chiaramente un traguardo comune. Non è un caso se l’ultima grande sfida vinta dall’Italia (l’ingresso nell’euro) fu il frutto di una collaborazione forte tra imprenditori, sindacati e una leadership politica capace di guardare lontano. Dall’euro in poi tutto è stato assorbito nel quotidiano scontro tra fazioni che ha dominato il dibattito pubblico, mentre nella latitanza della politica ognuno si arrangiava come meglio poteva. Ma il destino delle parti non può essere del tutto slegato da una missione
comune, come sta avvenendo oggi, a meno di non mettere in conto il rischio di una disgregazione del paese. 

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